domenica 21 dicembre 2008

L'elemento sogno in Alice nel Paese delle Meraviglie


Nel precedente post vi ho parlato un pò di cos'è il sogno e di Sigmund Freud; era un argomento che avevo analizzato anche nella tesina dell'esame di Stato, e avevo collegato l'argomento con la storia di Alice nel Paese delle Meraviglie. Quindi oggi ho pensato di analizzare la storia, vedendola dal punto di vista del sogno.


Alice nel Paese delle Meraviglie si svolge in un sogno, ma inizia e termina nella realtà; si articola nella dimensione onirica dela protagonista. Nel libro, il senso dilatato del tempo e dello spazio è quello interiore, tipico del sogno. La storia di Alice è il racconto di un viaggio fantastico; ogni dubbio cessa nel momento in cui la bambina si sveglia e si rende conto che era un'invenzione. L'uscita dal sogno di Alice avviene quando la protagonista dichiara "Non siete che un mazzo di carte!", la frase con cui riporta ogni cosa al suo posto e al suo ruolo, ristabilendo la divisione tra animato ed inanimato, frase che dissolve e vanifica il Paese delle Meraviglie. Una buona parte dei non sensi logici consistono nel prendere troppo alla lettera le proposizioni, oppure troppo poco; esiste, quindi, un implicito legame trà sanità mentale e capacità linguistica, che il Gatto del Cheshire rende esplicito quando, all'affermazione di Alice "Non voglio andare fra i matti!", risponde "Non puoi evitarlo, perchè qui siamo tutti matti. Anche tu sei matta, altrimenti non ci saresti venuta". La pazzia è una costante che si ritrova in molti personaggi in cui Alice si imbatte, e Carrol (l'autore) riteneva che una delle sue manifestazioni fosse il non saper distinguere il sogno dalla realtà. Nel libro questi due aspetti sono separati: alla fine Alice si risveglia, scopre dei aver sognato e racconta il sogno alla sorella.

lunedì 15 dicembre 2008

Cos'è il sogno attraverso la teoria di Freud


Nei precedenti post vi ho parlato dei sogni, della loro interpretazione e di Freud, quindi ho voluto approfondire l'argomento. Sigmund Freud è il maggior studioso della dimensione onirica; lui ritiene che il sogno è la via privilegiata di accesso all'inconscio. Secondo lui il lavoro onirico è l'appagamento di desideri non realizzati, che chiama desideri rimossi. Afferma che il sogno è frutto di un'intensa attività psichica: il processo onirico; grazie a questo lavoro sul rivestimento simbolico dei sogni, i desideri più nascosti di una persona possono esprimersi liberamente. Tutto ciò si verifica perchè il sogno non si presenta ad una lettura superficiale e scontata, ma ha un significato nascosto che occorre ricosctruire. Freud scoprì l'esistenza di due livelli nel sogno: uno manifesto ed uno latente (nascosto). Il livello manifesto è dato dalle scene del film mentale che rappresentiamo durante l'attività onirica, e di cui ci ricodriamo al risveglio. Il contenuto latente, invece, contiene ciò che il contenuto manifesto nasconde e che l'interpretazione deve svelare. Per questo il sogno deve essere interpretato.

Ma perchè i bisogni rimossi emergono durante il sonno? Emergono durante il sonno perchè, in questo stato, la sorveglianza da parte della ragione è ridotta e, di conseguenza, i sentimenti del passato possono riemergere con maggiore facilità.

venerdì 12 dicembre 2008

6. La dimensione gruppale e l’atelier-fiaba


Il racconto appartiene ad un gruppo sociale. Parla alla parte infantile del bambino e dell'adulto. Il racconto è letto e sentito in gruppo, recitato in gruppo, il disegno è elaborato in gruppo. Il gioco psicodrammatico o gioco di ruolo generato dall’atelier-fiaba permette al bambino di utilizzare la struttura del racconto per parlare di lui, associare in gruppo, utilizzare lo specchio del gruppo e la funzione accogliente, contenente e disintossicante degli adulti nel gruppo (se sono formati a queste tecniche). Per certi bambini che provengono da ambienti sfavoriti è meno costrittivo della terapia individuale, perché si è nel campo del fantasma, del non vero, del meraviglioso e del gioco ed è meno colpevolizzante per i genitori: "perché il racconto, si conosce”, dicono spesso. Si porranno, a seconda l'esperienza dei curanti, alcune domande teoriche: gruppo chiuso, gruppo aperto, gruppi a incastro, gruppi complementari, gruppi dei genitori in parallelo per provocare un lavoro di inter-fantasmatizzazione tra due gruppi? Il racconto è perfetto nelle sue potenzialità, imperfetto nelle sue realizzazioni si dice, è un mediatore che apre a tutte le creatività dunque. Esige un lavoro mentale tra il narratore e gli ascoltatori e viceversa. Questo lavoro è gruppale, e per i curanti induce ad un lavoro trans-generazionale sull'assenza o la presenza di racconti tradizionali nella stirpe paterna e materna, secondo le origini regionali o talvolta etniche dei partecipanti. Quelli che lo utilizzano dicono che la sua narrazione in laboratorio è un mediatore ricco di potenzialità ed uno stimolante anti-dépréssivo per i curanti che si occupano di questi malati i quali producono vuoto, angoscia e caos nei pensieri di coloro che gli sono accanto.

martedì 9 dicembre 2008

5. L'elaborazione secondaria ed il racconto popolare nella cura


Il lavoro compiuto dal sistema psichico per dominare la tensione dei conflitti pulsionali è chiamato da Charcot, elaborazione psichica. L'elaborazione psichica induce sceneggiature di rappresentazioni che eviterebbero i corto-circuiti del sistema sensitivo-motorio, del sintomo e della crisi che egli descriveva presso gli isterici. Freud, allievo di Charcot, notò che se si vuole raccontare un sogno ad un interlocutore e se ci si vuole far comprendere da lui, si è obbligati a trasformarlo in un racconto orale che necessita di un lavoro di elaborazione psichica. Nell'isterico che "somatizza ", non ci sarebbe elaborazione psichica. L'elaborazione secondaria (definita da Freud parlando del sogno in Introduzione al narcisismo,1914), è un tipo di rimaneggiamento destinato a presentare il sogno, (spesso strano), sotto forma di un racconto relativamente coerente per essere trasmissibile e comprensibile dall’altro cui si trasmette. L'elaborazione secondaria necessariamente sceglie, aggiunge, censura per una migliore intelligibilità del ricevitore. Per i curanti è interessante conoscere i parametri dell'ambiente che influiscono consapevolmente o inconsapevolmente sulle piccole modifiche che il narratore si permette di fare sulla struttura di base ed è interessante conoscere le elaborazioni secondarie dei bambini o degli adulti che sono invitati a associare e a creare, nei tempi terapeutici complementari di questo tipo di lavoro (gioco, disegno, parola eccetera..). Le contaminazioni, le aggiunte, le infiltrazioni e soprattutto le associazioni che emergono sono essenziali. Bisogna saperle accogliere e lavorarle, conoscendo il contesto familiare, i traumi reali o immaginari associati, dal gruppo o dal bambino. L’invasione-contaminazione delle immagini televisive o dei videogame, necessitano un “savoir-faire” che bisogna differenziare dalla censura nell’ambiente pedagogico. La mia esperienza della narrazione in atelier-fiaba ed in atelier-gioco di ruolo è identica a quella dei pedagogisti. (Adam :Le Récit, édition PUF ,1984). I bambini prima di sei anni non possono elaborare un racconto ben strutturato con situazione iniziale, svolgimento, situazione finale e tenendo conto dell’impatto emozionale su chi li ascolta. Gli psicotici ci riescono tardivamente o alcuni mai, talmente tendono ad affettare in rondelle senza collegamento apparente le narrazioni abbastanza confuse che riescono a produrre talvolta nel loro mondo interiore, sempre molto caotico ed angosciante. È possibile parlare della funzione organizzatrice di questo tipo di racconto popolare perché, con una tecnica ben rodata, basata sull'accoglienza de “la deriva associativa controllata” e che si realizza mediante la pratica del racconto tradizionale (seminari e regolazioni), mi è apparso che con i bambini piccoli, i bambini confusi autistici o psicotici, ma anche i bambini senza figure familiari rassicuranti nel loro ambiente, le nostre tecniche di marchiatura delle sequenze di figurabilità dei conflitti dell'inconscio collettivo funzionavano nella diacronia delle sedute come un vero stimolo ad organizzare dei “ricordi-schermo" positivi, cioè un'agevolazione relativa al pensare ed al rimuovere fino a quel momento sconosciuta dal malato. Vediamo questi bambini in modo progressivamente ludico interessarsi ed utilizzare delle rappresentazioni di sceneggiature attraenti per la loro nitidezza e la loro poesia. Queste esperienze della vita fantasmatica nel gruppo adulto/bambino permettono loro un’anticipazione prospettica positiva a proposito di traumi reali o immaginari impossibili da rimuovere o vuoti di rappresentazioni espresse fin là. Con l'uso di questo mediatore è possibile arrivare ad un punto particolarmente interessante: il lavoro che fa il gruppo per la sua capacità di riciclare, riutilizzare l'esperienza di confronto con le angosce arcaiche trattate dal racconto scelto. Il racconto meraviglioso è un buon "innesto" per rappresentare e pensare i conflitti dell'oralità (Il Lupo e l'Orco sono interessanti archetipi) dell'analità e ad un grado inferiore della genitalità, che appartiene, piuttosto, al campo dei racconti burleschi. Come, nel gruppo istituzionale, proporre laboratori complementari (Laboratorio storie, laboratorio scrittura, laboratorio marionette, laboratorio psicodramma psicanalitico o Moreniano, laboratori di espressione musicale, danza eccetera) per favorire il re-impiego, il riciclaggio dell'interiorizzazione di conflitti che il racconto ha elaborato? Quante sedute di psicoterapia individuale difficili, con attacchi al setting, dovranno essere gestite da terapeuti capaci di contenimento ed informati sulla rappresentazione per analogia dell'identificazione proiettiva distruttrice nella seduta e nei racconti? L'elaborazione di senso in un racconto già lavorato in gruppo può aiutare il bambino nell'utilizzazione di una categoria del possibile a pensare ed a giocare: il fare finta o l'espressione della violenza "per falso" delle sequenze di certi racconti popolari, hanno potuto facilitare l'accoglienza e la metabolizzazione di questi momenti difficili di passaggio all'atto impulsivo, diversamente da ciò che succede quando si termina la seduta. In questi casi estremi, l'allusione ad un racconto ha un valore interpretativo ed è accettata più facilmente dal bambino "fuori da lui" rispetto all’analisi del trasfert per continuare a pensare insieme. Avere dei "contenitori di pensieri" in situazione di angoscia è sempre più utile invece del vuoto di rappresentazione o del corto circuito del passaggio all'attoimpulsivo

lunedì 8 dicembre 2008

4. La grande figurabilità delle immagini del racconto


Freud aveva già indicato il cammino facendo un'analisi comparativa delle qualità del sogno e del racconto. In entrambi i casi, vi sono spostamento, condensazione, censura e grande figurabilità delle immagini ecc. Ciò che ci interessa nella cura, è la grande figurabilità nelle immagini del racconto popolare (oggigiorno in fondo sono le immagini che segnano il quotidiano della vita dei bambini e degli adulti: pubblicità, immagini video, televisione.) Il racconto ha sempre ispirato gli illustratori, ed i bambini, prima di sapere leggere, segnano le sequenze interessanti puntando con un dito le illustrazioni che parlano loro. Nel laboratorio, le tre casette del T 124, (i Tre Piccoli porcellini), sono un'interessante illustrazione del concetto dell'io-pelle di Anzieu. Il gioco e i disegni dei bambini, su questo tema contenente e protettivo, sono una miniera d’informazioni per aiutare quelli che non possono costruire dei buoni involucri che proteggono le zone erogene rendendole métaforizzabili in contenitori di pensieri utili alla comunicazione gruppale. Infine, questa figurabilità ha portato certe produzioni artistiche come la danza, il cinema, la musica, il teatro a propagarsi nei media ed il mondo dello spettacolo. Walt Disney prima della seconda guerra mondiale è stato un importante promotore del rinnovamento del racconto. L'immagine come il disegno e la teatralizzazione in laboratorio può servire di marchiatura simbolica se si vuole lavorare l'ipotesi del rendimento del concetto freudiano di “ricordo-schermo” nella nostra tecnica del laboratorio racconto terapeutico.

domenica 7 dicembre 2008

3. Il gruppo familiare nel racconto popolare


Non si tratta della famiglia reale ma, secondo la bella espressione di Kaës, della "famiglia della fabbrica dell'interiorità”, (Conte et divan, Dunod.). Prendiamo la situazione iniziale di Pollicino o di Hans e Gretel: i bambini persi nella foresta. Gli psicotici ai quali si raccontano questi due racconti dicono spesso: "Ci stai raccontando la stessa storia". All’inizio, pensavamo: "Sono psicotici, dunque confusi, dunque confondono". Assolutamente no. Andando a vedere nella classificazione internazionale, la situazione iniziale a questi due racconti che avevano reperito è comune: il fantasma di essere abbandonato, la realtà di doversi districare, diventare automi in questa foresta dei racconti dove si è perduti e dove s’incontra sistematicamente l'aggressore. La formula "c'era una volta" propone una categoria, quella del racconto di finzione che sostiene la nozione di uno spazio mentale per il fantasma, differente da quello della realtà o del delirio. Il surrealismo diceva che il racconto meraviglioso era un parapetto per il delirio. Petit Poucet deviendra grand, Petite Bibliothèque Payot 2002 , tratta l'essenziale della teoria e della pratica di questa tecnica di cura. Nessuno dei bambini psicotici che hanno beneficiato di questi ateliérs, (ma seguivano anche altre terapie associate), ha sviluppato deliri che avrebbero impedito la socializzazione, spesso protetta, la che consentiva loro la loro psicosi incistata. Questi racconti tradizionali trattano la vita fantasmatica e sono ben assimilati dal bambino normale come “il non vero, buono da pensare” perché sono storie che non si realizzano nella vita quotidiana: perdere i vostri bambini nella foresta, (Pollicino), mandare la vostra bambina (Cappuccetto rosso) nella stessa foresta dove c'è un lupo che la potrebbe aggredire; mostrano che queste situazioni iniziali dei racconti popolari nella vita quotidiana sarebbero situazioni da segnalare al giudice. I genitori, nei racconti in questione, sono genitori immaginari, sempre ingiusti, distruttori, maltrattanti o assenti. Le immagini genitoriali delle proiezioni fantastiche di questi racconti paradossalmente facilitano l’accesso ai maltrattamenti da parte dei genitori seguiti per ordinanza del giudice. Dicono difatti spesso: “queste storie sono molto peggiori di ciò che succede a noi” e ciò facilita la loro capacità a parlarne. Nel racconto sono rappresentati gli estremi, le opposizioni binarie. La madre buona è sempre morta o è stata sostituita da una fata, la madre cattiva è la matrigna gelosa, o la strega persecutrice, divoratrice di bambini, punita sempre severamente nella situazione finale. Kaës, (Conte et divan) ha qualificato ottimamente il racconto col suo contenuto potenziale, come "prét-à-porter" possibili da pensare. La famiglia sulla quale si lavora col bambino nel gioco, nel disegno, è "la famiglia dell'interiorità ", quella che si costruisce per identificazione all'eroe. L'eroe trova la via, ma sulla sua strada incontra l'aggressore. L'opposizione binaria aggressore/aggredito è facile da reperire per il bambino confuso. Il padre ingiusto, vecchio, sottomesso, assente ed il re, vecchio, superato, permettono tutte le proiezioni edipiche intorno all'immagine del padre e post-edipiche per il bambino nevrotico. Il racconto tratta dei genitori poco contenenti, della rivalità fraterna, della conquista dell’autonomia, ecc... I riferimenti che propone sono buoni da conoscere, le loro rappresentazioni facili da reperire e confermate, in particolare, nelle illustrazioni, quando sono attraenti e di qualità.

sabato 6 dicembre 2008

2. La struttura del racconto nei racconti della tradizione orale


Nella sua analisi morfologica dei racconti russi, (La morfologia del racconto) Vladimir Propp ha mostrato che questi racconti, e probabilmente quelli di tutte le nazioni, si svolgono nei limiti di 31 funzioni. Per necessità logica ed estetica, ogni funzione consegue da quella che precede. Un gran numero di funzioni sono raccolte per coppie (divieto/trasgressione, interrogazione/informazione, lotta/vittoria, notte/giorno, aggressore/aggredito, ecc.). La dipendenza dei protagonisti, che sono subordinati alle costrizioni della loro funzione, forma una catena di invarianti alla quale il narratore non può derogare: l'aggressore aggredisce, l'eroe trionfa, il cattivo è punito. Almeno tutto ciò è chiaro e privo di confusione per gli autisti, gli psicotici ed i bambini privi di contenimento da parte dell’ambiente. Queste invarianti e queste costrizioni dell’organizzazione diacronica, partono da una situazione iniziale (la mancanza), seguita da uno svolgimento di fatti che teatralizzano sceneggiature abbastanza vicine ai conflitti di base delle terapie familiari e terminano in una situazione finale, in generale una riparazione della mancanza o un ritorno allo stato di equilibrio. La fortuna di questo lavoro di Propp è nota. Lévi-Strauss ne ha attinto l'idea dello strutturalismo. Molte ricerche sulla semiotica dei racconti (Greimas, Courtés, Belmond in Francia), sono generate dai racconti della tradizione orale. È interessante confrontare i bambini "normali "nel loro sviluppo, con i bambini psicotici ed autistici, spesso molto confusi nel loro modo di comunicare, quando hanno il piacere di conoscere questo "mécano" del racconto, (la parola è di Belmond). I bambini senza una patologia hanno interiorizzato già, secondo la loro età, gli spostamenti metaforici incosci che i racconti della tradizione orale contengono. Ciò dà agli psicotici che, classicamente, presentano un disturbo nel processo di “rimozione”, un accesso insperato ad un modello codificato di rappresentazioni con propri ritmi, invarianti, concatenazioni, riferimenti ai quali poter aggrapparsi, quando sono persi nelle nebbie confusionali del pensiero psicotico. Questo modello non è un modello educativo o comportamentista. È una struttura canonica che funziona come l’innesco della possibilità di rappresentare, pensare e forse interiorizzare gli arcaismi e le angosce della maturazione con soluzioni accettabili per il gruppo considerato. Per esempio, in Cappuccetto Rosso, la struttura del racconto è invariabile ed è attesa sempre allo stesso modo dal bambino che l'ascolta: la bambina incontra il lupo nella foresta, gli parla ma non lo riconosce come aggressore se non all'interno della casa dove si è coricato travestito da nonna che ha divorato. Non si può modificare questa diacronia che consegue dall'enunciato del racconto scelto. Se il lupo mangia la bambina, subito incontrata nella foresta, questa è un'altra storia che ci si può augurare o desiderare, ma non è il racconto previsto nell'enunciato. La forza costrittiva di questo tipo di racconto è rassicurante ed organizzatrice per il bambino senza riferimenti. Egli ritrova, in modo ripetitivo, ciò che poi lo aiuterà nelle sue difficoltà di interiorizzazione dei legami e alla fine di un certo tempo di pratica, potrà appropriarsi di una possibilità associativa sconosciuta fino ad allora.

venerdì 5 dicembre 2008

1. Gli arcaismi nei racconti orali


I racconti orali sono pieni di forme arcaiche, presenti nell'inconscio collettivo delle società dette primitive, maturate dalla preistoria: sono racconti molto strutturati, essi sono reperibili per temi nella classificazione internazionale (Aarne-Thomson) e, dunque, sono comparabili nelle produzioni di popoli geograficamente molto lontani. Ciò che è narrato in questi racconti si rivolge agli adulti come ai bambini nelle loro problematiche esistenziali. Queste storie sono facilmente memorizzabili e trasmissibili per la grande figurabilità delle immagini e per l’affascinante potere della poesia. Tre tempi sono diventati classici nella nostra pratica: il racconto, il gioco di ruolo, il disegno, o il gruppo di parola, per i più grandi. Così, con i curanti addestrati l’atelier-fiaba diventa una “madre in rêverie materna" nel senso di Bion. Accoglie gli elementi di motorî, gli aspetti in sé bizzarri e arcaici delle violenze e distruzioni connesse con la maturazione delle zone erogene e con le loro rappresentazioni coscienti o incoscie. Il lavoro dei curanti con questo mediatore consiste nell’accogliere gli arcaismi, selezionarli, metabolizzarli, assegnar loro limiti possibili, categorie di emozioni riconosciute e condivise in una condotta accettabile per la vita del gruppo.
L’uso del racconto nella cura è anche un buon esercizio contro-depressivo per il curante, e ciò è importante in un’epoca in cui sono ridotte le attrezzature e in cui c’è un ritorno alle terapie chimiche riduttrici dell'impulso patologico. Nella nostra esperienza di sostegno dei genitori, questa indicazione terapeutica induce meno resistenza rispetto alle altre tecniche psicoterapeutiche o ri - educative proposte abitualmente. L'incontro parallelo con i genitori è un importante mezzo per lavorare sull'inter-fantasmizzazione della famiglia, rivelata attraverso queste storie che i genitori hanno più o meno “vissuto” prima, nelle loro parti infantili sane.
I racconti popolari sono racconti che sono stati trasmessi oralmente nella notte dei tempi. Servivano, come i miti e le religioni, a dare senso alle domande esistenziali che si pongono gli esseri umani. Freud ha posto l'ipotesi dell'analogia tra lo sviluppo dell'individuo e quella dell'umanità; si ritrova quest’idea in altri ricercatori come Propp, (Radici storiche del racconto di fate). Ciò permette di pensare che gli arcaismi del pensiero, divorare/essere divorato, essere abbandonato, perdersi nella foresta, essere attaccato dalle bestie malefiche, confrontarsi con le immagini materne distruttrici (streghe) o troppo materne (fate), presenti nei racconti, fanno meglio eco con le angosce più nascoste dei bambini e degli adulti che li ascoltano. Si possono dunque individuare queste angosce, anticiparle, individuarne simbolicamente gli organizzatori di senso (per esempio le opposizioni binarie fuori/dentro, aperto/chiuso, aggressore/aggredito) e sovra significarne gli effetti.
La tecnica della "marchiatura" simbolica di certe sequenze organizzatrici di rappresentazioni spaziali e del pensiero permette di creare delle situazioni – nodo, che agiscono come dei veri “ricordo-schermo positivo” (Freud, 1899, Nevrosi, Psicosi e Perversione), molto utili per le patologie caratterizzate da confusione e incapacità di elaborazioni secondarie e comprensibili dai gruppi a struttura semplicemente nevrotica. È necessario utilizzare i tre tempi classici dell' atelier-fiaba (racconto, gioco di ruolo, disegno e parola) per accogliere le proiezioni più strane e renderle pensabili in uno spazio di teatralizzazione del gruppo adulti/bambini che lavora in modo sintonico con la proposta di Bion (trasformando gli elementi bizzarri, beta, in elementi alfa pensabili ed organizzati in un racconto che è “già là” nella storia raccontata oralmente di tutte le società umane). La scelta dei racconti permette di individuare le rappresentazioni di conflitti, che si vogliono abbordare nel gruppo e che riguardano ogni esperienza di maturazione. Questo necessita di un "corpus” di base per la maturazione ed una buona conoscenza dei racconti tradizionali, per accompagnare le associazioni prodotte dai bambini a partire da questi racconti, qualunque sia la tecnica utilizzata: disegni, marionette, plastilina, gioco di ruolo, musica, fumetti e, per gli adolescenti e gli adulti, anche psicodramma (Moreniano o psicanalitico), video-dramma, laboratorio di scrittura, ecc…

giovedì 4 dicembre 2008

L’atelier-fiaba terapeutico. Un’esperienza sulla narrazione delle fiabe tradizionali

Navigando in internet ho trovato delle notizie su Pierre Lafforgue, psicoanalista francese, il quale ha tenuto dei convegli sulla fiaba. Ciò che ha detto mi è sembrato iportante, quindi ho pensato di riportarvi alcuni pezzi...

"L’apporto della teoria e della pratica psicoanalitica ha permesso una nuova comprensione dei fatti storici al di fuori del suo campo medico d’origine. Si conoscono delle interpretazioni psicoanalitiche di fatti storici, di fatti sociali, di opere d’arte, di religioni, del romanzo e della fiaba popolare.
In seguito ai lavori pionieristici di Freud (
L’uomo dei lupi, L’inquietante estranietà) e del celebre studio metapsicologico di Bettelheim (Il mondo incantato, Uso, importanza e significato psicoanalitico delle fiabe), non sembra che questo mediatore sia stato utilizzato spesso nel setting terapeutico con la sua capacità, di fatto notevole, di stimolare elaborazioni secondarie prevedibili e tracciate in ciò che si potrebbe chiamare l’inconscio collettivo in senso gruppale piuttosto che Junghiano.
Vorrei parlare della mia esperienza con questo mediatore nell’ambito degli ateliers terapeutici che ho praticato per trent'anni nel day hospital, con bambini autistici e psicotici e in ambulatorio con bambini con patologie nevrotiche.
La fiaba popolare non è in sé curativa, ma il modo in cui i curanti la vivono, la lavorano e la utilizzano per accogliere e metabolizzare le angosce normali o patologiche dei bambini, ne fa uno strumento che è divenuto singolare per coloro che trattano patologie gravi.
Perché la fiaba della tradizione orale nella cura?
"

Questa è solo la presentazione...l'articolo ve lo proporrò a pezzi perchè è lungo, e quindi ho pensato che fosse meglio "farlo a puntate"...