martedì 9 dicembre 2008

5. L'elaborazione secondaria ed il racconto popolare nella cura


Il lavoro compiuto dal sistema psichico per dominare la tensione dei conflitti pulsionali è chiamato da Charcot, elaborazione psichica. L'elaborazione psichica induce sceneggiature di rappresentazioni che eviterebbero i corto-circuiti del sistema sensitivo-motorio, del sintomo e della crisi che egli descriveva presso gli isterici. Freud, allievo di Charcot, notò che se si vuole raccontare un sogno ad un interlocutore e se ci si vuole far comprendere da lui, si è obbligati a trasformarlo in un racconto orale che necessita di un lavoro di elaborazione psichica. Nell'isterico che "somatizza ", non ci sarebbe elaborazione psichica. L'elaborazione secondaria (definita da Freud parlando del sogno in Introduzione al narcisismo,1914), è un tipo di rimaneggiamento destinato a presentare il sogno, (spesso strano), sotto forma di un racconto relativamente coerente per essere trasmissibile e comprensibile dall’altro cui si trasmette. L'elaborazione secondaria necessariamente sceglie, aggiunge, censura per una migliore intelligibilità del ricevitore. Per i curanti è interessante conoscere i parametri dell'ambiente che influiscono consapevolmente o inconsapevolmente sulle piccole modifiche che il narratore si permette di fare sulla struttura di base ed è interessante conoscere le elaborazioni secondarie dei bambini o degli adulti che sono invitati a associare e a creare, nei tempi terapeutici complementari di questo tipo di lavoro (gioco, disegno, parola eccetera..). Le contaminazioni, le aggiunte, le infiltrazioni e soprattutto le associazioni che emergono sono essenziali. Bisogna saperle accogliere e lavorarle, conoscendo il contesto familiare, i traumi reali o immaginari associati, dal gruppo o dal bambino. L’invasione-contaminazione delle immagini televisive o dei videogame, necessitano un “savoir-faire” che bisogna differenziare dalla censura nell’ambiente pedagogico. La mia esperienza della narrazione in atelier-fiaba ed in atelier-gioco di ruolo è identica a quella dei pedagogisti. (Adam :Le Récit, édition PUF ,1984). I bambini prima di sei anni non possono elaborare un racconto ben strutturato con situazione iniziale, svolgimento, situazione finale e tenendo conto dell’impatto emozionale su chi li ascolta. Gli psicotici ci riescono tardivamente o alcuni mai, talmente tendono ad affettare in rondelle senza collegamento apparente le narrazioni abbastanza confuse che riescono a produrre talvolta nel loro mondo interiore, sempre molto caotico ed angosciante. È possibile parlare della funzione organizzatrice di questo tipo di racconto popolare perché, con una tecnica ben rodata, basata sull'accoglienza de “la deriva associativa controllata” e che si realizza mediante la pratica del racconto tradizionale (seminari e regolazioni), mi è apparso che con i bambini piccoli, i bambini confusi autistici o psicotici, ma anche i bambini senza figure familiari rassicuranti nel loro ambiente, le nostre tecniche di marchiatura delle sequenze di figurabilità dei conflitti dell'inconscio collettivo funzionavano nella diacronia delle sedute come un vero stimolo ad organizzare dei “ricordi-schermo" positivi, cioè un'agevolazione relativa al pensare ed al rimuovere fino a quel momento sconosciuta dal malato. Vediamo questi bambini in modo progressivamente ludico interessarsi ed utilizzare delle rappresentazioni di sceneggiature attraenti per la loro nitidezza e la loro poesia. Queste esperienze della vita fantasmatica nel gruppo adulto/bambino permettono loro un’anticipazione prospettica positiva a proposito di traumi reali o immaginari impossibili da rimuovere o vuoti di rappresentazioni espresse fin là. Con l'uso di questo mediatore è possibile arrivare ad un punto particolarmente interessante: il lavoro che fa il gruppo per la sua capacità di riciclare, riutilizzare l'esperienza di confronto con le angosce arcaiche trattate dal racconto scelto. Il racconto meraviglioso è un buon "innesto" per rappresentare e pensare i conflitti dell'oralità (Il Lupo e l'Orco sono interessanti archetipi) dell'analità e ad un grado inferiore della genitalità, che appartiene, piuttosto, al campo dei racconti burleschi. Come, nel gruppo istituzionale, proporre laboratori complementari (Laboratorio storie, laboratorio scrittura, laboratorio marionette, laboratorio psicodramma psicanalitico o Moreniano, laboratori di espressione musicale, danza eccetera) per favorire il re-impiego, il riciclaggio dell'interiorizzazione di conflitti che il racconto ha elaborato? Quante sedute di psicoterapia individuale difficili, con attacchi al setting, dovranno essere gestite da terapeuti capaci di contenimento ed informati sulla rappresentazione per analogia dell'identificazione proiettiva distruttrice nella seduta e nei racconti? L'elaborazione di senso in un racconto già lavorato in gruppo può aiutare il bambino nell'utilizzazione di una categoria del possibile a pensare ed a giocare: il fare finta o l'espressione della violenza "per falso" delle sequenze di certi racconti popolari, hanno potuto facilitare l'accoglienza e la metabolizzazione di questi momenti difficili di passaggio all'atto impulsivo, diversamente da ciò che succede quando si termina la seduta. In questi casi estremi, l'allusione ad un racconto ha un valore interpretativo ed è accettata più facilmente dal bambino "fuori da lui" rispetto all’analisi del trasfert per continuare a pensare insieme. Avere dei "contenitori di pensieri" in situazione di angoscia è sempre più utile invece del vuoto di rappresentazione o del corto circuito del passaggio all'attoimpulsivo

2 commenti:

kuijt ha detto...

leggendo questo post sono stato pervaso da uno spirito maccartista.

Irene ha detto...

Il mio scopo non era quello,ma semplicemente volevo mostrare l'effetto delle fiabe,legate ai sogni dei bambini...